Udine si svuota, ma c'è chi tiene duro: il giovane Daniel Anese rilancia l'attività di famiglia.

Via Mercatovecchio, la storica via del commercio udinese, sta subendo da anni la chiusura di numerose attività, sia per gli affitti troppo alti sia per la scarsa affluenza di clienti. Ormai sono rimaste poche attività storiche e, una di queste, è sicuramente Cristian Gioielli. Camminando sul tappeto rosso che ti accoglie davanti al negozio, si intuisce sin da subito che l’azienda presenta un business model diversificato che varia dall’oggetto moda a quello di lusso, sia nell’ambito dell’orologeria sia in quello degli accessori. Ma parliamo direttamente con uno dei figli del titolare, il dr. Daniel Anese, che collabora con l’impresa e che probabilmente diventerà, in futuro, uno dei soci.

Perché avete deciso di diversificare i vostri prodotti?

Riteniamo che, in questo modo, sia possibile rispondere adeguatamente alle necessità di tipologie di clientela molto diverse tra loro. Inoltre, per aumentare la competitività della nostra impresa nel contesto commerciale odierno, ogni punto vendita è caratterizzato da un’organizzazione interna diversa, in modo tale da sfruttare le peculiarità e le potenzialità di ogni mercato in cui opera.

Come mai ha deciso di continuare l’attività di famiglia?

Fin da bambino, la mia intenzione è sempre stata quella di entrare a far parte di questa realtà. Per questo motivo, ho compiuto un percorso di studi - dalle scuole medie superiori all’università - per poter acquisire le competenze necessarie per dare il mio contributo all’azienda di famiglia.

Fino a pochi anni fa eravate un’impresa che si rivolgeva a una clientela di fascia medio/alta, come mai avete deciso di cambiare il vostro core business?

È stata una scelta dettata dalla variabilità dell’ambiente socio-economico in cui opera. Udine, comune e provincia, è una città caratterizzata da un ambiente competitivo estremamente complesso, nel quale solo le unità economiche sane e attente ai cambiamenti possono sopravvivere. In passato, Udine era la capitale del commercio regionale: le vie del centro storico erano vitali, piene di negozi e i cartelli “affittasi” o “vendesi” erano molto rari. Ora, in seguito alla crisi finanziaria, all'accresciuta concorrenza dei centri commerciali (Udine è la provincia con la densità pro capite di centri commerciali più alta d’Italia), allo scarso supporto delle amministrazioni locali e all’incapacità imprenditoriale di adattarsi ai cambiamenti, la città ha perso, nel suo complesso, smalto e vitalità. Per questo motivo, è emersa la necessità di cambiare il core business dell’impresa per poter essere attrattivi, nonostante l’ambiente economico in cui operiamo non lo sia.

Cosa significa fare impresa in Italia?

Bella domanda. Fare impresa in Italia, al giorno d’oggi, è molto complicato perché ci si scontra quotidianamente con gli innumerevoli problemi di carattere burocratico. Speriamo che “qualcuno” inizi a rendersi conto di queste problematiche perché altrimenti si rischia, nel medio-lungo periodo, una delocalizzazione di massa che distruggerebbe definitivamente l’economia italiana.

Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?

L’obiettivo principale è, senza dubbio, creare un’azienda talmente solida che sia impermeabile ai cicli economici negativi. La nostra speranza è quella di creare un’impresa che possa assicurare un roseo futuro alle successive generazioni, evitando che si verifichino nuovamente i problemi degli anni passati causati dalla mancanza della preparazione necessaria al superamento di determinati fenomeni negativi (es. crisi). Se tutto dovesse andare come programmato, lo step successivo sarebbe quello di aprire altri punti vendita, oltre agli attuali negozi di Udine e Lignano Sabbiadoro.

Tanti imprenditori ritengono che l’Italia non abbia futuro e scelgono di spostare la propria attività all’estero, lei è d’accordo con questa scelta?

È un discorso che necessita di essere contestualizzato perché non esiste una risposta univoca. È innegabile che l’Italia abbia perso attrattività a causa di molti fattori, ma allo stesso tempo ha delle potenzialità ancora inesplorate e che necessitano di essere valorizzate.

Cosa consiglierebbe ai giovani come lei?

Io spero che i giovani non si facciano scoraggiare dalla realtà italiana odierna perché il nostro Paese ha bisogno di loro per poter ripartire. Conosco in prima persona le problematiche legate al “fare impresa” in Italia, ma ritengo che la qualità della vita sia invidiabile e che non si debba, a prescindere, scartare l’idea di restare e rischiare di portare avanti un progetto.

Un argomento attuale e correlato alla sua attività è, senza dubbio, la pedonalizzazione di via Mercatovecchio. Lei cosa ne pensa?

Credo che la pedonalizzazione della via, se attuata in maniera corretta ed intelligente, possa ridare vitalità al commercio stimolando anche le vie adiacenti. Il problema è che il progetto presentato dal Comune lascia numerosi dubbi e perplessità perché, innanzitutto, non si capisce bene il motivo per cui debba essere fatto con pietra piasentina, dato che tutte le strade del centro storico sono impostate sul ciottolato. Inoltre, ritengo sbagliata la decisione di tralasciare piazza Marconi che è il naturale inizio (o la naturale fine) di via Mercatovecchio. Infine, il progetto, datato 2012 e, quindi, probabilmente migliorabile, non spiega nemmeno come potrà essere arredata la nuova via dopo la pedonalizzazione.